Amarcord (senza conclusioni)

Andrea (Andy) Rocchelli

Un collega, mentre passeggiamo verso casa dopo lavoro, all’improvviso mi chiede se conoscevo quel giornalista italiano ucciso qui a Sloviansk. Non avevo ancora collegato questo luogo a Andrea (Andy) Rocchelli, fotoreporter di Pavia, ucciso in Ucraina nel 2014. Ne ricordavo, a vaghe linee, la notizia, e il certo rumore che fece, in Italia. Andy fu ucciso, insieme al collega russo Andrei Mironov, a pochi chilometri dal centro di Sloviansk, vicino a Andriivka, oltre i binari del treno. Fu ucciso che aveva 30 anni. Fu ucciso sette anni fa, il 24 maggio 2014, mentre portava avanti un reportage fotografico dalla linea del fronte. Tre giorni dopo, il quotidiano La Stampa pubblicò in prima pagina una sua foto: un gruppo di bambini incastrati in una cantina per proteggersi dagli spari di artiglieria, illuminati da una luce fredda, circondati da enormi barattoli di verdura in conserva e marmellate. Andy sta sopra di loro, in cima alla ripida scala di legno, e inquadra i volti di otto bambini attraverso la cornice di pavimento, storta, dell’ingresso alla cantina.

Vitalii Markiv

Vitalii Markiv, il soldato ucraino di allora 25 anni che ha avuto un ruolo nella morte di Andy e Andrei, è stato prima condannato a 24 anni dal tribunale di Pavia, poi assolto per assenza di prove dalla Corte di appello di Milano, lo scorso novembre. Entrambe le sentenze, quella di condanna e quella di assoluzione, confermano la dinamica di quel 24 maggio: l’esercito ucraino uccise deliberatamente Andy e Andrei, aggiustando la mira dei mortai per centrare gli obiettivi, sparando dalla collina del Karachun verso il fosso dove Andy e Andrei (e un collega francese, ferito nell’attacco) si erano riparati. Le motivazioni della sentenza di assoluzione sono complicate, e dipendono da un cavillo procedurale (ne potete leggere qui: www.andyrocchelli.com). Vitalii Markiv, una volta scarcerato, fu riaccolto in Ucraina come un eroe. Ci furono anche manifestazioni per la sua liberazione fuori dalla Corte di appello di Milano – e tante altre ce ne furono a Kyiv e altrove in Ucraina. Sul sito www.euromaidanpress.com si può leggere un lungo articolo sulla sua vicenda, e sulle celebrazioni nel giorno del suo ritorno in Ucraina. Markiv, che in Italia è cresciuto e ha studiato (ed è cittadino italiano), in un’intervista rilasciata quel giorno ringrazia l’Italia per avergli insegnato i valori europei, e la perdona per gli errori che lo hanno costretto tre anni in un carcere. Sulla pista dell’aeroporto di Kyiv, appena sbarcato dall’aereo, ha dichiarato: “la sentenza pronunciata dal tribunale di Pavia [la sentenza di colpevolezza] ha dimostrato che la propaganda del Cremlino non ha limiti, ma la giustizia ora esiste”.

Le verità

Vitalii Markiv poteva chiamarsi Sergei Tselivac, poteva avere 35 anni, sua madre poteva chiamarsi Svitlana e non Oksana, sua moglie poteva chiamarsi Daria e non Diana. Vitalii poteva essere uno dei suoi commilitoni, che assieme a lui stavano preparando, nel maggio 2014, l’attacco a Sloviansk, per riprendere il controllo della città dai separatisti filo-russi. Vitalii è probabilmente stato sfortunato: quel giorno, al mortaio, poteva trovarsi qualcun altro, e lui essere di servizio al magazzino. La sorte di Andy e Andrei difficilmente sarebbe cambiata. Sloviansk, vale la pena ricordarlo, passò di mano senza una vera battaglia: le truppe separatiste decisero di ritirarsi verso Donetsk. La responsabilità della morte di Andy e Andrei è difficilmente contestabile: i colpi di mortaio provenivano da una collina sotto il controllo dell’esercito ucraino, e Andy e Andrei si trovavano in una zona controllata dai separatisti. Il governo ucraino, e con lui parte dell’opinione pubblica ucraina, sostiene invece Andy e Andrei siano stati uccisi dai separatisti filo-russi, e l’intera responsabilità sia attribuibile a loro. Sostengono che il processo a Vitalii sia parte della strategia di disinformazione russa, che mira a mostrare l’esercito ucraino e i battaglioni di volontari come carnefici senza pietà che sparano sui giornalisti.

Oggettività delle fonti, e dei ricordi

Su Wikipedia, la pagina in inglese dedicata a Vitalii Markiv è stata scritta in Ucraina, da un utente chiamato Trydence. Trydence è di sesso maschile, europeo, viene dall’Ucraina, è orgoglioso di essere ucraino, è di stirpe ucraina, vive a Kyiv, non fuma, ama la musica rock, appoggia la democrazia in Bielorussia, osteggia il comunismo sia nella teoria che nella pratica, appoggia l’entrata dell’Ucraina nella NATO e sa scrivere e leggere in cirillico. Nella sua prima versione della pagina dedicata a Vitalii Markiv, pubblicata nel gennaio 2018, scrive che Vitalii rimase in Italia fino al 2013, e poi tornò in Ucraina, per unirsi al Maidan, il movimento filo-europeista che rovesciò il governo di Victor Janukovyc e cambiò radicalmente la storia recente di questo paese. Nella mia memoria, quindi nella narrazione che ricordo di aver letto, quella fu una lotta a favore di una progressiva integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea (nacque, d’altronde, dalla mancata firma di Janukovyc dell’accordo di partenariato europeo), contro la corruzione e la cleptocrazia. Il sito euromaidanpress.com, quello che esulta per la liberazione di Vitalii Markiv e sostiene che il tribunale di Pavia fosse sotto l’influenza della propaganda russa, crede in una Ucraina democratica e unita, libera da pressioni e coercizioni straniere e basata sullo stato di diritto.