Hasta pronto, Colombia!

Cosa non ho visto

A Bogotà, tra la carrera 11 e la calle 85, c’è un edificio in costruzione, uno tra i tanti, e non so quale progetto nasconda – immagino un palazzo ripetitivamente moderno, con spazi differenziati tra appartamenti di medio lusso, uffici e negozi. Il cantiere è recintato da un muro, e sul muro sono affisse diverse foto naturalistiche; sono i luoghi turistici più famosi della Colombia, e sono foto bellissime. C’è il Nevado del Tolima con i suoi frailejones e i suoi 5220 metri di altezza; c’è il Caño Cristales nella Macarena, con i suoi colori vividi di ossido e alghe; c’è la lontana isola di San Andres, contesa con il Nicaragua, e le sue spiagge bianchissime di palme caraibiche; ci sono le colline del eje cafetero, l’altipiano ondulato sul quale si produce buona parte del caffè colombiano; c’è la ciudad perdida e la costa pacifica, i laghi di Antioquia e le baie di Tumaco. Tutti posti che – colpevolmente? – non ho visitato, nonostante le opportunità.

Cosa ho visto

La Colombia mi è eccessiva, o sicuramente eccede le mie capacità di esplorazione. Io della Colombia ho visto poco, e quel poco mi è bastato, in questi mesi che sono stati sei ma sono sembrati molti di più. Che poi: aver messo il naso nel remoto Putumayo e navigato su e giù il suo fiume; aver guardato ammagliato la luce del sole che scende sulla foresta amazzonica a Puerto Leguizamo o essermi commosso di un perfetto arcobaleno sopra la nostra barca; aver ascoltato ogni mattina il canto di tanti uccelli nascosti e il frinire di mille altri insetti e tante altre emozioni che ora non ricordo; tutto questo non mi sembra così poco. Sono anni che dico di essere un pessimo viaggiatore, nonostante il (o a causa del) lavoro che faccio: forse semplicemente non mi va di viaggiare per viaggiare, e la retorica della meta nel viaggiare che tanto mi ha affascinato ora non fa per me.

Cosa ho deciso di non vedere

Tra i viaggi che non ho fatto, ne spicca uno in particolare: non sono tornato a San José de Apartadò, ed è l’unico viaggio non fatto che, un po’, mi lascia l’amaro in bocca. L’occasione era ghiotta: quest’anno il numero di lunedì festivi e ponti vari in Colombia non è mai stato così alto, e un viaggio a Apartadò – per quanto non tra i più semplici – era ampiamente fattibile. Ci sono vari motivi per cui non sono andato, e non scarto anche una certa pigrizia, stanchezza e allergia per gli aeroporti – ma questi sono fattori che vedo più come giustificazioni che come motivi veri e propri. Il motivo dominante, penso, è che avevo paura del confronto. La Comunidad de Paz de San José de Apartadò mi aveva accolto, come volontario di Operazione Colomba, dieci anni fa, quando avevo 24 anni, una visione del mondo diversa, una visione di me stesso diversa. Per dire: non solo non lavoravo nell’aiuto umanitario, ma neanche sapevo che l’aiuto umanitario potesse essere un lavoro. Dico spesso che quell’esperienza mi ha cambiato la vita, e ci credo fermamente: e infatti non credo di essere più quello che ero dieci anni fa. Tornare a San José de Apartadò mi avrebbe costretto a un confronto, con il rischio che diventasse una ridefinizione: non mi sentivo pronto.

Cosa porto con me

Qualche giorno fa mi sono messo a pensare cosa mi mancherà della Colombia, e ho fatto una gran fatica a pensare a una sola cosa. Non penso mi mancherà Bogotà – questa città da cui mi sento un po’ travolto, come tutte le grandi città, e che mi ostino a vivere a piedi, confinato negli spazi di un quartiere troppo pulito; non mi mancherà l’ufficio a Bogotà, nel quale mi sono sentito spesso estraneo, salvato dal tavolo da ping pong sulla terrazza e da qualche volto amico; non penso mi mancherà Puerto Asìs – a cui comunque ho voluto bene nei tre mesi che mi ha regalato. Ma forse la nostalgia ha bisogno di tempo per formarsi, e inoltre si forma dall’assenza: so che mi troverò presto a ricordare con affetto i cieli drammatici e mutevoli di Bogotà e il mio pedalare affannato sopra i 3000 metri; so che mi mancheranno le cercropie di Bogotà, con i loro tronchi nudi e le gigantesche foglie di forma digitata, e mi mancheranno le buganvillee dai fiori viola rampicate sui mattoni chiari di certi palazzi; so che mi penserò sorridendo ai volti e alle voci di tante persone che ho trovato, che in realtà di pochi ci si dimentica, e in fondo non sono ancora stanco di cercare.