La corda degli spiriti

L’argomento ricorrente

C’è un argomento che ritorna spesso da quando sono in Colombia. Ne ho parlato con colleghi e colleghe a Bogotà, ne ho sentito parlare da visitanti più o meno turistici, e ne parlo spesso durante il mio lavoro con le comunità indigene nella regione del Putumayo. La mia percezione verso questo argomento cambia totalmente a seconda del mio interlocutore: passo dalla risata dissacrante e sarcastica alla riprovazione, dal disgusto al sincero interesse. È un argomento che mi attrae e mi respinge, che mi disturba e mi incuriosisce, poiché tocca vari temi rispetto ai quali non ho un’opinione chiara e stabile: il concetto di scienza e quello di medicina o cura, l’appropriazione culturale, la spiritualità, il turismo come accumulo di esperienze, il rispetto delle culture altrui attraverso la conoscenza della propria, il significato stesso del concetto di cultura (e, se esiste, l’impoverimento della mia cultura propria). L’argomento è l’ayahuasca, o yagé – una bevanda sacra ai popoli indigeni dell’Amazzonia: la corda degli spiriti.

Ayahuasca, nelle sue componenti

Nella sua componente fisica, l’ayahuasca è un decotto di colore rossastro prodotto con due piante amazzoniche: le liane della pianta rampicante Banisteriopsis caapi e le foglie della Psychotria viridis, un albero sempreverde. Nella sua componente farmacologica, l’ayahuasca contiene gli alcaloidi armina, armalina e d-tetraidoarmina e la dimetiltriptamina, una triptamina psichedelica endogena, presente cioè anche nel corpo umano: gli effetti combinati di queste componenti sono allucinogeni e purganti. Nella sua componente culturale, l’ayahuasca è considerata la bevanda sacra di tanti popoli amazzonici, tra l’Ecuador, il Perù e la Colombia, usata da più di mille anni: viene bevuta durante cerimonie sacre di gruppo, accompagnata da musiche tradizionali e sotto la guida di un taita (un medico tradizionale), con l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio degli elementi e permettere una connessione con gli spiriti. Nella sua componente medica, ancora poco studiata, l’ayahuasca aiuterebbe a trattare le dipendenze (da stupefacenti, ma anche da alcol e tabacco), avrebbe effetti antidepressivi e ansiolitici e potrebbe essere utilizzata per disturbi neurologici e psichiatrici. Nella sua componente economica, attorno all’ayahuasca si è creata una piccola, ma fiorente, industria turistica (specialmente in Perù, ma presente anche in Colombia) che attira persone che vogliono vivere un’esperienza, persone in cerca di una guarigione, persone in cerca di un effetto allucinogeno diverso, e che vede già delle pericolose derive di banalizzazione e cialtroneria.

Cerimonia

L’ayahuasca non è un rituale per tutti; molte persone che l’hanno vissuto me l’hanno detto sinceramente (e li ringrazio molto, che apprezzo sempre il dubbio). C’è prima di tutto una preparazione, nei giorni precedenti, che varia a seconda della funzione specifica della cerimonia: generalmente ci si deve astenere da alcuni cibi, bevande e attività per un periodo di una settimana circa, per preparare il corpo e lo spirito alla cerimonia. L’effetto sul corpo della bevanda e della cerimonia, che si manifesta diversamente per ogni persona, è spesso dirompente: gli alcaloidi danno un forte senso di nausea che porta a conati di vomito e incontinenza, e evitano la rapida degradazione della dimetlitriptamina, che porta a visioni psichedeliche di lunga durata, fino a due, tre ore. I partecipanti sono seguiti dal medico tradizionale, generalmente in un contesto di sicurezza (anche se non sono mancati incidenti mortali negli ultimi anni), e vengono aiutati a esplorare e capire le visioni e le sensazioni. Tra le persone con cui ho parlato, c’è chi mi raccontava di visioni allucinogene condivise con gli altri partecipanti, chi mi raccontava di guarigioni miracolose, chi aveva partecipato assieme al suo medico curante per curare malattie psicosomatiche, chi mi diceva di non aver provato nulla la prima, seconda e terza volta, chi mi diceva di essere stato malissimo per giorni dopo la prima volta, ma di aver avuto risposte a domande di una vita durante la seconda volta.

Domande

Cosa vuol dire ammalarsi o guarire? Quanto è dipendente la nostra salute dalla salute di chi ci circonda, e dalla salute di cosa ci circonda? Qual è il limite tra cialtroneria, stregoneria, religione e pratiche culturali? Chi stabilisce questo limite? Cosa ne è stato della medicina tradizionale della mia cultura trentina, fatta di decotti, erbe, Ave Maria e Pater Noster, tiraossi e levatrici senza diploma? Quanto dipende la nostra ricerca di pratiche culturali salvifiche esoteriche dalla scomparsa delle nostre pratiche culturali salvifiche? Che influenza ha il turismo dell’esperienza sulla sopravvivenza delle culture? È possibile partecipare a cerimonie culturali antichissime senza condividere la cosmovisione che è alla base di queste cerimonie?

Sono domande su cui rimugino da molto tempo, e che negli ultimi anni si sono rinforzate – attraverso l’esperienza pandemica, il lavoro con un’organizzazione principalmente medica in Afghanistan, e ora questo incontro – indiretto, per ora – con l’ayahuasca.