Take it on the other side (prima parte)

Turn me on, take me for a hard ride
Burn me out, leave me on the other side
I yell and tell it that it’s not my friend
I tear it down, I tear it down
And then it’s born again

Otherside, Red Hot Chili Peppers

Sono a Stakhanov, nella Repubblica Popolare di Luhansk, o Kadiivka, in Ucraina. È la prima (e l’ultima, almeno per ora) volta che attraverso lo strano fronte diventato un confine che separa i territori controllati dal governo ucraino (GCA, government controlled areas) da quelli controllati dalla Repubblica Popolare di Luhansk e della Repubblica Popolare di Donetsk (ma internazionalmente riconosciuti come NGCA, non government controlled areas). Sottointesa è una delle cose che ancora non capisco di questo conflitto: la parte che ha deciso di separarsi dall’Ucraina e diventare indipendente (e dipendente dalla Federazione Russa) non è un’unica entità, ma si divide in Repubblica Popolare di Luhansk (quella dove sono al momento) e Repubblica Popolare di Donetsk (in quella non potrò mai andarci, penso). Ognuna ha il suo governo e le sue regole; e infatti in una le organizzazioni internazionali possono ancora lavorare, nell’altra sono bandite tutte. La divisione è talmente reale che ci sono dei punti di frontiera tra le due Repubbliche: da qualche mese i movimenti tra le due Repubbliche sono diventati più semplici, ma durante i momenti peggiori della pandemia il passaggio era pressoché vietato.

Attraversare la linea di contatto

La linea di contatto (ossia, la linea del fronte) che taglia in due il Donbass e i due oblast (regioni) di Donetsk e Luhansk ha cinque punti di possibile attraversamento, tre verso la Repubblica Popolare di Donetsk e due verso la Repubblica Popolare di Luhansk. Nel 2019, tredici milioni di persone hanno attraversato uno di questi punti, in entrata o in uscita. Nel 2020, questo numero si è drasticamente ridotto. La pandemia da COVID-19 è stata la scusa perfetta per limitare qualsiasi spostamento tra le Repubbliche e il territorio ucraino. Solo uno dei cinque punti di attraversamento è rimasto aperto, nella Repubblica Popolare di Luhansk – il valico di Stanytsia Luhanska, da cui possono passare solo i residenti della Repubblica Popolare di Luhansk. Chi vive nella Repubblica Popolare di Donetsk e vuole (o spesso, deve) rientrare in Ucraina, è costretto a prendere un giro un po’ più largo: entrare in Russia nei pressi di Rostov-on-Don, e rientrare in Ucraina a Milove, a nord di Luhansk. Fino a qualche settimana fa chi attraversava il confine in questo modo veniva multato dalle autorità ucraine (l’accusa era quella di non avere attraversato il confine in maniera regolare). Ora, anche grazie alle pressioni delle organizzazioni umanitarie, nessuno rischia più di essere multato. Per avere un’idea del percorso che molti devono fare, aprite GoogleMaps, e calcolate il tragitto tra la città di Donetsk e la città di Mariupol. GoogleMaps ignora la presenza di una linea del fronte tra le due città: viaggiando sul percorso suggerito, in un’ora e cinquanta minuti avreste coperto i 113 chilometri che separano le due città. Ora modificate il percorso con queste destinazioni intermedie, rispettando l’ordine: Donetsk-Rostov on Don (Russia)-Milove (Ucraina)-Kramatorsk-Velyka Novosilka-Mariupol. Fanno quindici ore di viaggio ininterrotto, per un totale di 1040 chilometri. Ah, non è che uno da Donetsk vuole andare a Mariupol per turismo, per quanto a Mariupol ci sia il Mare di Azov: molti dei servizi amministrativi che prima si trovavano a Donetsk sono stati spostati a Mariupol, quindi i cittadini ucraini (ma residenti a Donetsk) sono costretti a raggiungere Mariupol per pratiche burocratiche di vario genere.

Stanytsia Luhanska

Stanytsia Luhanska è il nome del paese nel quale si trova l’ultimo punto di attraversamento al momento aperto. È quasi al confine con la Federazione russa, all’estremo orientale dell’Ucraina – circa tre ore di macchina da Sloviansk. L’attraversamento si compone di tre parti: i controlli dell’esercito ucraino, una camminata di un chilometro nella terra di nessuno, e i controlli dell’esercito della Repubblica Popolare di Luhansk. 

La prima parte ha degli elementi alquanto familiari: sembra un po’ di stare in un areoporto all’aperto, un areoporto controllato e gestito da militari con il kalashnikov di ordinanza addosso, anche nei vari uffici dove i vari documenti vengono scansionati e controllati. C’è anche il classico tavolaccio per il controllo dei bagagli, e due splendidi cani anti-droga (un pastore tedesco e un labrador assonnato), e le classiche domande retoriche di un posto di frontiera (quanti soldi hai addosso, stai trasportando droga o qualcosa di illegale). 

La seconda parte dell’attraversamento è affascinante, ed è difficile da descrivere: si cammina per un chilometro circa attraverso la terra di nessuno, su una strada stretta perfettamente asfaltata che farebbe pensare a una pista ciclabile immersa nel verde, se non ci fossero su entrambi i lati della strada i cartelli rossi, romboidi, con sopra disegnato un teschio, a indicare la presenza di mine. A ogni lampione svetta una bandiera ucraina, e attorno a noi camminano alcune famiglie: c’è un bambino in monopattino che gioca a superarci, poi si ferma, poi ci supera ancora. Anche la sorellina ha un monopattino, più piccolo, e cammina a fianco a sua madre, pochi passi dietro di noi. Al termine dei lampioni con la bandiera ucraina, c’è un ponte di ferro sopra un fiume che scorre calmo, immerso tra gli alberi; le bandiere cambiano colore, non sono più giallo e blu ma azzurro blu e rosso. Ci si avvicina al territorio controllato dalla Repubblica Popolare di Luhansk. All’inizio del ponte una donna aspetta l’arrivo dei suoi famigliari: mi giro un attimo per osservarla, in tempo per vedere la bambina scendere dal monopattino, gridare “Nonna!” e correrle incontro, abbracciandola. Non è una scena inusuale: ma in questo contesto, mi commuove.

Continua…